Costruiamo Gentilezza

Iracà Giuseppina

Località: Calabria
Ente: insegnante secondaria 1 grado
Intervista conoscitiva

Da piccola chi è stato il tuo “insegnante” di gentilezza?

Mi ritengo una persona fortunata perché nel mio percorso di crescita ho avuto modo di incontrare diversi insegnanti di gentilezza, come le maestre Vittoria, Anna e Italia, donne dall’animo pacato ma allo stesso tempo ricche di entusiasmo.

Guardando oltre il contesto di apprendimento formale, ritengo che l’insegnante di gentilezza per eccellenza nella mia infanzia (e non solo) sia la mia nonna materna: colei che con amore e dedizione, pazienza e fiducia, coraggio e passione mi ha insegnato ad essere. Essere me stessa, donando la migliore parte di me.

Come insegni agli alunni la gentilezza?

La gentilezza è un valore che insegno ai miei alunni utilizzando gesti concreti che partono dall’ascolto attivo e dalla comunicazione assertiva. Credo che i sei sensi di cui siamo dotati siano la chiave di volta per insegnare la gentilezza ai più piccoli costruendo un dialogo fatto di sguardi, un tono di voce tranquillo e pacato, un gesto gentile quale una mano tesa verso l’altro, l’utilizzo del “grazie”, parola gentile a mio avviso oggi data troppo per scontato.

Una parola gentile che usi sovente con i tuoi alunni?

“Sei unico”, “Sei speciale”, “Bravo/a!”.

Da diverse esperienze ho compreso che l’analfabetismo emozionale caratterizza sempre più la società dei giorni nostri. In particolare, in età pre adolescenziale si fa strada il tema delle emozioni, il loro riconoscimento e la loro gestione. Credo che il punto di partenza per tessere relazioni positive basate sulla gentilezza sia la consapevolezza della nostra identità. Senza sapere chi siamo, non possiamo capire e metabolizzare ciò che proviamo, stati d’animo, sentimenti. Inoltre, senza conoscere ed avere consapevolezza di noi stessi, non possiamo entrare in relazione con l’altro, raggiungendo un buon grado di empatia.

Per questo, cerco sempre di utilizzare parole gentili che possano mettere in risalto l’identità di ogni singolo discente, facendo scoprire e comprendere quali siano le caratteristiche tali da renderlo/a unico/a.

Come può la gentilezza aiutare bambini e ragazzi a vivere la scuola più serenamente?

La gentilezza deve essere vissuta tramite gesti concreti, atti gentili verso me stesso e l’altro.

Le parole forse non bastano più, soprattutto se si pensa a quei termini ostili e poco cordiali che il mondo globalizzato spinge i giovani ad usare, creando rapporti univoci con i pari dove l’obiettivo è avere una quantità infinita di “contatti” che possano mettere più “like” possibili a tutto ciò che si decide di rendere pubblico.

Per vivere la scuola più serenamente, credo che ai nostri alunni serva riscoprire la bellezza di una comunicazione reale, autentica, gentile, che vada in controtendenza rispetto alla prediletta comunicazione virtuale. Quest’ultima non si basa più su un rapporto autentico faccia-a-faccia e fatto di sguardi, ma su un rapporto davanti ad uno schermo e ad una tastiera che permette idealmente di stare nel mondo, in una reale solitudine.

La gentilezza richiama, a mio avviso all’incontro, allo scambio, alla ricerca di reciprocità: elementi essenziali per costruire il benessere all’interno delle nostre classi.

Quando un alunno sbaglia, come lo correggi con gentilezza?

Il diritto a commettere uno sbaglio lo accolgo nella quotidianità con un sorriso, una piccola curva sul mio volto che può comunicare tranquillità. Quando un alunno fa un errore, il suo limite da superare diventa per me un obiettivo da raggiungere attraverso la comprensione di ciò che ha indotto a svolgere un compito in modo errato e la ricerca di una soluzione. Come? Il sorriso è un segnale di fiducia, di accettazione, di aiuto perché, come afferma Bueb “Nessun bambino è perduto se ha un insegnante che crede in lui”.

Cosa significa per te essere costruttore di gentilezza?

Essere costruttore di gentilezza significa divenire un operaio specializzato per la realizzazione di una società sana e onesta. Vuol dire educare all’avere cura, riprendendo il motto “I care” di Don Milani affinché verso l’altro ci sia una spinta affettiva, relazionale, emozionale.

“I care”= “ho a cuore, ci tengo, mi interessa”. Queste semplici parole sono la sintesi del volersi bene che crea gentilezza: mi voglio bene e posso donarmi agli altri, senza interessi. Credo che questo sia un importante mattoncino che, in qualità di docente, possa fornire ai miei alunni per fondare l’etica della gentilezza.