Costruiamo Gentilezza

Cavezza Giacomo

Località: Lazio
Ente: Calcio
Intervista conoscitiva

Come alleni i tuoi giocatori alla gentilezza?

Partendo sicuramente dall’empatia cercando sempre di essere solidale e presente specialmente nei momenti di difficoltà.

Da piccolo chi è stato il tuo “allenatore” di gentilezza?

Sono cresciuto nel centro storico di una delle città più belle e più difficili al mondo, Napoli.
Le alternative alla strada erano veramente poche e li di gentilezza non se ne percepiva tanta, quindi quando avevo la fortuna di partecipare a qualche attività diretta da istruttori o allenatori c’è sempre stato grande rispetto da parte mia verso queste persone che per me sono state figure di riferimento, farei un torto nominare solo uno.

Una parola gentile che usi sovente con i tuoi giocatori?

Parole non me ne vengono al momento ma di sicuro un sorriso, una battuta una carezza e un abbraccio sono gesti sempre pronti all’uso.

Come può la gentilezza aiutare i bambini ed i ragazzi a vivere lo sport più serenamente?

L’abitudine alla gentilezza ed al rispetto verso le regole, i propri compagni e gli avversari aiutano a vincere le ansie di prestazione aiutano a vivere non solo lo sport ma abituano il giovane e l’adulto ad affrontare la vita con serenità.

Quando un giocatore sbaglia, come lo correggi con la gentilezza?

Cercando prima di tutto di non giudicarlo, poi dimostrandogli comprensione finendo dandogli il buon esempio.

Come Allenatore alla Gentilezza significa per te essere costruttore di gentilezza?

Questo è un mondo che va veloce e già da piccoli si ha accesso praticamente a tutto quindi le cose possono essere vissute in modo frettoloso e superficiale a volte senza nemmeno provare emozioni vere. L’allenatore alla Gentilezza secondo il mio parere deve essere paziente, presente e vigile ed accompagnare i propri allievi verso un modo di fare più riflessivo dando il giusto tempo a tutti per crescere insegnadogli che nella vita spesso tu o uno vicino a te può cadere e magari stare lì pronti a porgere la propria mano e non girarsi dall’altra parte.