Costruiamo Gentilezza

Crescenzo Antonio

Località: Toscana
Ente: insegnante secondaria 1° grado
Intervista conoscitiva

Da piccolo chi è stato il tuo “insegnante” di gentilezza?

Mia nonna, ultima erede di buone maniere e gentilezza, porto sicuro, dove rifugiarsi durante le bufere della vita.

I nonni hanno un posto speciale nei nostri cuori. Chi non li ha mai conosciuti ne avverte la mancanza. Chi li ha persi prova nostalgia di quell’amore incondizionato, spesso correlato da buon cibo, vizi e coccole.

La gentilezza è un valore raro ai nostri tempi, fuori moda, addirittura sinonimo di debolezza. La cortesia insegnata dai nonni invece non è uno stupido retaggio degli anni passati, ma un valore che si fa notare e oggi addirittura rivoluzionario.

Gli anziani, così poco presenti nel mondo mediatico, sono la nostra memoria storica e familiare. Custodi di una società tecnologicamente vergine, meno connessa e più legata alle formalità, ma forse, più serena e meno arrogante e sicuramente più gentile.

Come insegni agli alunni la gentilezza?

Educare alla gentilezza è un processo complesso, continuo, che si costruisce nella quotidianità. Sicuramente stimolare i bambini sin da piccoli ad essere gentili attraverso piccoli gesti, parole è fondamentale, convinto che la gentilezza fortifichi gli individui perché occorre forza interiore per manifestarla.

Per diventare gentili bisogna essere gentili ogni giorno, attraverso piccole azioni quotidiane; giorno dopo giorno essere gentile dovrebbe essere semplice come giocare; una parola, un gesto, piccole gocce a colmare un vaso, un lago e chissà un oceano!

Confrontandomi con i colleghi spesso mi trovo a riflettere su questo concetto: la paura di perdere la propria autorità se si approcciano agli alunni in modo gentile, come se appunto la gentilezza fosse vissuta come un segno di debolezza che impedisce poi di “esercitare” la propria influenza o guida.

Il problema è a monte, perché occorre capire cosa si intende per autorità che spesso implica uno stile direttivo e non partecipativo, proprio dell’autorevolezza. L’autorità è un surrogato dell’autorevolezza e deriva dal potere e dal grado all’interno di una organizzazione. Il soggetto autoritario ritiene di dover essere obbedito solo perché l’ordine è impartito da una persona gerarchicamente superiore e non perché l’ordine impartito o ciò che chiede sia giusto o corretto. Acquisire autorevolezza vuol dire, invece, acquisire l’abilità di motivare le altre persone a fare delle cose perché lo vogliono e non perché devono o si sentono obbligate.

Si è autorevoli quando invece di ordinare le cose possiamo permetterci semplicemente di chiederle o proporle. Per ottenere ciò, si deve affrontare inevitabilmente un percorso di crescita personale per migliorare costantemente la propria conoscenza, le proprie risorse, i propri talenti e le proprie abilità comunicative. Ma più di tutto occorre rispetto per l’altro ad ogni “livello”, ad ogni età. Valore che per tutti noi è fondamentale e che tutti noi vogliamo trasmettere. E probabilmente in un mondo più ricco di rispetto potremmo vedere il meglio dell’umanità… E, come afferma anche Monica Toccaceli, psicologa clinica specializzata in genitorialità, che cosa è insegnare la gentilezza se non insegnare il rispetto, soprattutto attraverso l’esempio dell’adulto che ne è il punto di partenza. Ma per educare alla gentilezza bisogna prima di tutto viverla ed incarnarla. È impossibile trasmettere un valore se non lo si vive nella quotidianità. Educare alla gentilezza vuol dire insegnare l’empatia. E per insegnare l’empatia bisogna essere empatici. Non ci sono dunque formule magiche, lezioni da impartire, prediche da fare. Bisogna sentire, pensare e agire con empatia e questo porta alla gentilezza. Se il bambino vive esperienze in cui si sente approcciato con gentilezza e rispetto imparerà quel modo di fare, imparerà che le persone ti accolgono e ti comprendono e così, forte della pienezza che questa sicurezza regala, sentirà, penserà ed agirà con rispetto e gentilezza.

Dunque come insegno la gentilezza? Imparando ad essere il punto di partenza di libere manifestazioni di gentilezza.

Una parola gentile che usi sovente con i tuoi alunni?

Buongiorno, come state?

Perché come diceva Ian Maclaren: “Ogni persona che incontri sta combattendo una battaglia di cui non sai niente. Sii gentile. Sempre”.

La gentilezza avvicina le persone, unisce nonostante le diversità, regala pace dentro e fuori.
A volte un piccolo gesto di gentilezza, fatto o ricevuto, ci fa vedere le giornate sotto una luce diversa, una luce più bella e ci fa stare bene.

Come può la gentilezza aiutare bambini e ragazzi a vivere la scuola più serenamente?

Il modello sociale non aiuta lo sviluppo della gentilezza, anzi incoraggia la competitività che spesso innesca ansia e provoca stress. Alti livelli di stress favoriscono comportamenti aggressivi, negativi e scortesi.  Ultimamente sempre più persone si stanno ribellando a questo schema, rifiutano questo modello culturale e si stanno attivando alla riscoperta della gentilezza.

In ambito scolastico, ad esempio, la gentilezza può essere l’arma più efficace contro il bullismo. Infatti che cosa è il bullismo se non la mancanza cronica di gentilezza.

Così Paola Giannotti a proposito della vostra iniziativa: “la gentilezza di imparare ad ascoltare gli altri, a vedere gli altri e a non lasciarli soli, trasmettere il valore dell’amicizia e del rispetto un gruppo di persone gentili, educate ai valori contro il bullo. Si deve diffondere il senso di appartenenza al gruppo e alla gentilezza in tutte le classi, in modo che tutto l’istituto, la scuola diventi un luogo dove l’alunno si senta protetto, un luogo dove possa chiedere aiuto quando diventa oggetto di scherzi o azioni negative. La gentilezza il legame che unisce, un sorriso, una mano tesa che fa rete protegge e invita a parlare a chiedere aiuto”.

Parole mai più consone e oserei aggiungere che la gentilezza dà benessere, ma non solo, insegnare la gentilezza ai bambini lì renderà davvero adulti migliori. È la virtù più difficile, richiede forza e sicurezza d’animo. Per poter davvero esprimere gentilezza (sia con le parole che con i fatti) bisogna aver trovato il proprio equilibrio interiore, fondamentale anche e soprattutto per il bullo, una persona che non ha conosciuto la gentilezza, o che non l’ha scelta, spesso per colpa degli adulti.

Perché la gentilezza non fa bene solo a chi la riceve, ma anche a chi la pratica.

Quando un alunno sbaglia, come lo correggi con la gentilezza?

Correggere è un compito difficile, forse tra i più difficili, che richiede sensibilità, compassione, saggezza, capacità di comprendere l’altro, perché è un’azione che mira a guidare, a mostrare il cammino più opportuno per superare un errore, facendo affidamento alle indicazioni ricevute e alle risorse interiori o apprese. La correzione richiede delicatezza e empatia perché l’impronta che lascia quando è rivolta alla persona invece che all’errore in sé è indelebile e può minare l’autostima di un ragazzo; definire un discente sulla base dei suoi errori è indegno: una persona non è sbagliata, può commettere degli errori. L’errore non può definire l’essenza di una persona, può descrivere le sue azioni.

La capacità di accompagnare un alunno al di là del suo errore richiede anche di aver un rapporto sano ed equilibrato verso i nostri propri errori e fallimenti, oltre che accogliere e rispettare l’unicità dell’altro e riconoscere che il suo percorso è diverso dal nostro. Ma per riuscire a correggere in modo adeguato ed utile gli altri, occorre prima di tutto saper correggersi, accogliere i propri errori come tappe del percorso e non come motivo di disonore, lo dice uno oltremodo critico con se stesso e che deve ancora lavorarci tanto.

L’errore fa parte della natura umana ed è un grande maestro che ci porta a migliorare. Esso è prezioso e non va cancellato, perché ci dà la misura del nostro miglioramento; è l’umiliazione che deve sparire, perché non parla di noi: parla di chi ci punta il dito contro.

“È vero, è ‘in punta di piedi’ che dovremmo correggere gli errori, i nostri compresi.”
(M. Maggio)

Cosa significa per te essere costruttore di gentilezza?

Partendo dal presupposto che, in quanto essere umani, siamo tutti potenziali portatori di gentilezza soprattutto i ragazzi, più che costruttore di gentilezza cerco di essere un “kindness coach”: allenare alla gentilezza, imparando ad essere il punto di partenza di libere manifestazioni di gentilezza.

Da oggi tutto ciò sarà ancora più semplice grazie al vostro progetto, tassello mancante della mia esperienza scolastica e non.